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Lo scopo, o per lo meno l’intento, di quanto vado a scrivere è dare alcune indicazioni su come funzioni a livello globale il mercato dei cerali, il perché della volatilità dei prezzi ed alcune personali considerazioni e perché no consigli.

Va detto subito come ci si focalizzerà quasi esclusivamente sul frumento, sia duro che tenero.

 

Nell’attuale situazione, la quasi totalità degli agricoltori lamenta prezzi non sufficientemente redditizi, è giusto a mio avviso andare oltre: mettere i più, nelle condizioni di capire cosa stia succedendo e perché.

Ben lontano dal mio obiettivo è indicare norme e strategie per stravolgere la condizione di scarsa/mancata redditività, piuttosto che indicarvi come arricchirvi con i cereali.

Sarò sufficientemente contento, e già l’obiettivo è ambizioso, se qualche lettore una volta finita la trattazione, affronterà con meno superficialità l’argomento qualora vi si trovi a discuterne.

 

Vogliano scusarmi sin da ora, eventuali lettori molto più preparati in materia, per non voluti errori o discrepanze e soprattutto per lo scorretto uso di molti termini tecnici. Sono ovviamente ben accettate correzioni ed integrazioni del caso.

 

_________________________

 

 

Commodity e futures

 

Chi fosse dotato di grande intuito e forte capacità di leggere sotto le righe, la seguente frase risparmierebbe fiumi di parole e mari d’inchiostro: commodity prices are global, but production costs are local” . Così nel 1998 Steven C. Blank, coniò questa brillante frase, tanto da essere comprensibile pure ai non anglofoni. In ogni caso, questa è la traduzione: “il prezzo delle commodity è globale, ma il costo di produzione locale”.

 

Ma cosa sono le commodity ? Termine inglese, non letteralmente traducibile, ormai entrato a far parte del vocabolario italiano, indica una categoria di materie prime, globalmente producibili e dalle caratteristiche standard. Le commodity sono stoccabili e non devono deteriorarsi col tempo, possono e sono vendute senza nessun valore aggiunto che non sia il mero trasporto e stoccaggio.

Rientrano in questo settore economico anche parecchi prodotti agricoli, tra cui i principali cereali, ed alcune materie prime come ferro, rame, petrolio.

Va da se come salvo particolari caratteristiche, canali di commercializzazioni, nicchie di mercato ecc, tutta la produzione italiana possa essere, ovviamente, considerata una commodity.

 

Come vengono commercializzate le commodity ? Essendo prodotti soggetti a scambi commerciali a livello mondiale, si è resa necessaria l’introduzione di alcuni strumenti finanziari atti a standardizzare il tutto: principalmente si ricorre ai futures.

 

Cosa sono i futures ? Sicuramente il temine non è nuovo e capita spesso di sentirli nominare, specie negli ultimi tempi caratterizzati da una vivace attività finanziaria.

I futures sono contratti a termine, dove per quest’ultimi s’intendono prodotti finanziari dove due controparti s’impegnano a scambiarsi una determinato bene ad una data prefissata. Detto in altri termini i due operatori economici si accordano per scambiarsi una certa quantità di bene ad un determinata data. Nella stragrande maggioranza dei casi questo effettivo conferimento del bene, la reale consegna, non avviene (per il 98% dei casi la posizione si chiude prendendone una opposta sul mercato).

Quello che accade è un vero e proprio mercato, con tanto di specifiche borse, dei contratti futures, i quali diventano uno strumento d’investimento o speculativo.

 

Esempio: nel caso un’investitore creda che una determinata commodity cresca di prezzo comprerà il relativo future, mentre in caso contrario venderà quelli già in suo possesso. Questo, semplificando estremamente, è quello che in gergo si definisce essere in posizione long o short.

 

Volendo dare una visone globale della cosa, è possibile affermare questo: i cereali (a dire il vero solo il f.tenero, e non il duro, è una commodity) sono soggetti ad un mercato che risulta essere globale; un mercato dove entrano in gioco fattori speculativi ove il prezzo viene definito da scambi commerciali telematici da ogni parte del mondo; il prezzo diventa, o tende ad essere, standard come la definizione stessa delle commodity; i fenomeni locali difficilmente possono influenzare l’andamento generale del settore. Questo nel bene e nel male.

 

Come si approccia l’Italia

 

Diversi sono gli aspetti caratteristici della situazione italiana, alcuni dei quali, responsabili della scarsa rimuneratività dei cereali.

 

Cos'è responsabile dello scarso potere del mercato cerealicolo italiano ?

 

- Scarsa affidabilità dei prezzi: volatilità.

- Prezzi di mercato inadatti a sostenere l’attività produttiva.

- Mancato riconoscimento in termini economici della qualità del prodotto.

- Rilevanza in termini quantitativi ridotta.

 

La volatilità dei prezzi

 

Sebbene un approccio banale ponga al primo posto nella classifica delle problematiche il basso prezzo dei cereali, è invece la volatilità degli stessi ad destare di maggior preoccupazione.

Per volatilità s’intende infatti un’oscillare repentino su base temporale, del prezzo di un prodotto. Questo impedisce di programmare interventi e strategie produttive, oltre a destinare l’esito della commercializzazione dei prodotti, alla casualità.

Ovviamente in ogni mercato che si rispetti, nessuno può prevedere con precisione l’andamento dei mercati, sarebbe il sogno di ogni investitore.

Chi segue il prezzo del frumento sulle diverse borse italiane, non ha potute fare a meno di notare un’accentuata volatilità nelle ultime campagne. Questo non può che destare preoccupazione nei produttori, trovandosi anche nella posizione, diversamente da altri settori, di dover programmare con un discreto anticipo le proprie scelte colturali ed investimenti.

 

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Com’è possibile vedere dal grafico, e come sicuramente molti ricorderanno, il 2008 si è caratterizzato per una rapida ascesa dei prezzi del frumento, registrando valori da record, successivamente mai più registrati. Come si sa, quell’incremento di prezzi è stato dovuto a scarse produzioni su molte aree del mondo.

 

Cosa provoca volatilità ? Essenzialmente i motivi in cui ricercarne la causa sono i seguenti:

 

- Non esiste commodity priva di oscillazioni del prezzo, i contratti futures sono oggetto di speculazione ed in tutti i mercati questi sono fenomeni non frequenti, ma ricorrenti.

- Il progressivo passaggio da agricolture estensive ad intensive, aumenta la probabilità che fenomeni atmosferici o altre congetture possano interferire pesantemente con la produzione totale di vaste aree se non Paesi interi.

- In opposto al punto di cui sopra, vi sono anche molte realtà dove si è deciso di abbassare per quanto più possibile l’imput produttivo, a fronte dei bassi prezzi. Questo in annate particolari non può che essere origine di oscillazioni nelle produzioni totali e nella qualità.

- La spinta inflazionistica non esenta neppure il mercato delle commodity agricole.

- La pluralità dell’offerta viene sempre più a mancare. Essendo l’intero commercio in mano a pochi operatori economici, si è costretti a subire repentini cambiamenti di prezzi nel giro di poche ore.

- Specialmente a livello italiano, la mancata presenza di strutture adatte a stoccare ingenti quantitativi di prodotti (centinaia di migliaia di tonnellate), comporta la mancata possibilità di acquistare grossi quantitativi a prezzi ragionevoli e utilizzare queste scorte nei momenti di prezzi alti.

 

Prezzi di mercato inadatti a sostenere l’attività produttiva

 

Scontenterò i più, ma questo punto può e deve essere liquidato con estrema brevità.

Il mercato fa i prezzi del prodotto, non il prodotto. Dal momento in cui si produce un bene standard e facilmente reperibile altrove, il prezzo viene stabilito, al netto di seppur importanti attività speculative, dall’incontro tra domanda ed offerta.

Occorre prendere atto dell’attuale range entro cui graviterà il prezzo dei cereali, ed accettare con serenità come i picchi registrati nel 2008 saranno destinati a ripetersi, ma solo con la stessa probabilità e frequenza che contraddistinguono le anomalie.

Qualora si voglia puntare su mercati più ristretti, ad esempio il grano duro di qualità, questo non deve legittimare ad esimersi dalle leggi di mercato. Nel caso in cui pure queste eccellenze non trovino riscontri in prezzi adeguati, nuovamente la colpa è di chi si ostina a produrre fuori mercato e non nel mercato stesso, né nella domanda.

 

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Mancato riconoscimento in termini economici della qualità del prodotto

 

Relativo al punto di cui sopra, è bene fare alcune precisazioni.

Se da un punto di vista etico i produttori fossero interessati a produrre qualità, nessuno potrebbe biasimarli. Salvo il caso in cui questa presunta qualità non fosse corrisposta in termini economici e gli stessi accusassero il mercato delle loro vicissitudini.

Correndo il rischio di ripetermi, è bene ricordare come: se non si è certi di avere una domanda sensibile al prodotto di qualità, è bene rivalutare le proprie scelte.

Ad ora salvo casi di nicchia, e come tali in essi non possono rientrare tutti i produttori, non c’è molta sensibilità in questo senso. La grande maggioranza dell’industria molitoria italiana ancora non mi pare si sia espressa concretamente. Fino ad allora protestare dietro alla facciata della qualità risulta, a mio avviso, una lotta contro i mulini a vento.

Va aggiunto dell’altro: nel caso si volesse competere a livello internazionale nel conferire non solo prodotto di qualità, ma pure prodotto standard (commodity) è essenziale, senza esclusione alcuna, l’uniformità e la quantità dei lotti da trattare.

Strutturalmente la rete italiana è oggi incapace di fornire quantitativi (che partono da alcune decine di migliaia di tonnellate) importanti e omogenei in termini qualitativi. Specie in modo continuativo.

 

Rilevanza in termini quantitativi ridotta

 

Come si è già detto l’incapacità di essere presenti e disponibili sul mercato con quantitativi importanti, omogenei e continuativi nel tempo, è uno dei più grossi handicap del settore cerealicolo italiano.

Questa comporta poca appetibilità nei confronto dei compratori internazionali e obbliga a passaggi intermedi, trader, con significative ripercussioni sul ricavo finale.

L’eccessiva frammentazione dei conferimenti e dei centri di stoccaggio risulta estranea a quella logica di mercato, globale appunto, dove irrimediabilmente si è costretti ad operare. Ne consegue un’attività spesso passiva e di pressoché nullo potere decisionale.

A questo va aggiunto come spesso vi sia a distanza di una sola annata agraria notevoli differenze in termini di quantità prodotte e della relativa qualità. Di questo ne soffre maggiormente il sud Italia, dove le condizioni meteo spesso annullano la buona volontà dei produttori. Su quest’ultima però, non è possibile soprassedere: troppo spesso infatti scarse competenze e professionalità sono le cause dell’altalenante media produttiva/qualitativa italiana. Questo che piaccia oppure no, è parte integrante degli handicap di cui soffre il settore cerealicolo Italiano.

 

A questo va aggiunto il diffuso malcostume della maggioranza degli agricoltori: reputarsi in grado di capire e conoscere il mercato. (vi sfido a reperire un grafico con un minimo di storico, indicante i prezzi dei cereali)

Il mercato è mondiale e le dinamiche locali sono una componente pressoché ininfluente.

Se si è in grado, o ci si reputa tali, di prevedere il mercato, l’agricoltore è liberissimo di scegliere come e quando vendere il proprio prodotto, salvo poi assumersene ogni responsabilità.

Diversamente sarebbe il momento di delegare o per lo meno farsi assistere dall’operatore del caso, sia esso centro di stoccaggio, operativa, cap ecc. Ricollegandosi ai punti precedenti, si consentirebbe così di colmare, seppur in parte, il gap “dimensionale” del comparto italiano, permettendo una gestione più vicina alle modalità globali della commercializzazione dei cerali.

 

__________________

 

Ho concluso, a vol la parola ed i commenti, integrazioni, correzioni, domande, offese e minacce.

 

__________________

 

Riferimenti:

 

http://www.agricoltura24.com/grano-tenero-ritorno-alla-normalita/p_1485.html

http://www.agricoltura24.com/grano-duro-ma-cos-e-questa-volatilita/p_1483.html

Modificato da Mapomac
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Miglior contributo in questa discussione

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Dalle uniche due righe che hai sottolineato, si capisce che il mercato italiano per essere competitivo deve produrre ancora più quintali e di qualità omogenea, è giusto o mi manca qualcosa? oltre al fatto che questa quantità dovrebbe essere gestita anch'essa in maniera 'omogenea' diciamo...corretto?

la domanda che mi viene - stupida quanto volete ma a quest'ora non mi viene di meglio in mente:2funny: - è: come incentivare l'agricoltore/mercato italiano a produrre di più ( quindi estendere le superfici ? ) con un prezzo così basso? non è un cane che si morde la coda?

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Tutto questo discorso per giustificare i ladri che ci derubano?

Scherzo!! Complimenti per il documento che hai prodotto.

Credo sia l'economia virtuale,, quella che ha prodotto un sacco di problemi.

E' chiaro che sono più avvantaggiati gli stati che trebbiano i terreni con 5 o 10 trebbie affiancate, e l'Italia non è tra questi.

Sul fatto che il prodotto italiano non sia di qualità ho dubbi, sarebbe interessante un confronto con stesse sementi e sesse lavorazioni.

Da quando ha chiuso un pastificio della mia zona la pasta industriale è sicuramente inferiore, cosa mischiano?

L'aver dato via libera al mercato, che sta smantellando la nostra agricoltura, provocherà speculazioni continue (rapine) a danno dei consumatori, perché non ci saranno alternative di mercato, ma monopolio.

L'Italia è un paese di furbi (specie se oltre a fare gli imprenditori fanno anche politica), ancor più i manovratori mondiali delle merci.

Con questo sistema il percolo saranno i poveri che saranno destinati ad aumentare. Non so quando potrebbe succedere, ma in futuro non sarà improbabile che gruppi di esseri umani si organizzano per assaltare i supermercati.

Potremmo passare intere giornate ad analizzare strategie, ma il problema è quello,

Quando un violino ha le corde accordate produce melodia,

quando una corda va per i fatti suoi non c'è melodia ma c'è casino.

Concludo dicendo:

Ma al posto di accorpaci noi, non sarebbe meglio ridurre la dimensione dei colossi mondiali?

Altrimenti un meccanismo per cui chi vuol competere con il mercato italiano deve avere un ingranaggio compatibile con le dimensioni dell'ingranaggio italiano?

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come incentivare l'agricoltore/mercato italiano a produrre di più ( quindi estendere le superfici ? ) con un prezzo così basso? non è un cane che si morde la coda?

Produrre di più, non vuol dire comunque produrre senza avere ben chiari obiettivi quantitativi. E' si vero che l'aumentare delle superfici e delle quantità in generale aiuta ad ammortizzare beni e strumenti, nonché ci si avvantaggia dei benefici dell'economie di scala, ma aumentano anche i costi fissi. Questi sono proporzionali e crescono direttamente (praticamente in proporzionalità diretta) all'aumentare delle unità prodotte.

Di certo l'attuale organizzazione del comparto produttivo italiano, composto da superfici troppo ridotte e diffusa scarsa mentalità imprenditoriale, (con le dovute, numerose, eccezioni) mal si coniuga con l'esigenza di produrre quantità.

Inutile e sciocco è nascondersi dietro ad un dito: la costituzione di lotti importanti, qualche decina di migliaia di tonnellate, in Italia è il risultato del conferimento di 100-200 agricoltori. In Usa anche di soli 4-5. Nel resto dell'Europa i numero sono simili e molto lontani da quelli italiani.

 

Ritengo inoltre l'eccessivo ricorso ad una troppo variegata lista varietale, parte dei problemi di omogeneità di cui si parlava.

Dati storici inerenti le produzioni e listino della borsa alla mano, non vedo perché in una stessa provincia si arrivino a contare anche 10-20 varietà diverse.

Basta guardare il listino settimanale per vedere differenze di prezzo, anche sensibili, tra le diverse tipologie di frumento. Sia esso duro che tenero.

 

Listino settimanale Borsa Merci Bologna

 

Tutto questo discorso per giustificare i ladri che ci derubano?

Scherzo!! Complimenti per il documento che hai prodotto.

Ti ringrazio, i complimenti son sempre graditi. Ora sai di che morte morire... :asd:

Sul fatto che il prodotto italiano non sia di qualità ho dubbi, sarebbe interessante un confronto con stesse sementi e sesse lavorazioni.

Non ho detto questo. A voi siciliani guai toccare la qualità del vostro frumento. Scherzo !

Ho detto che tra tanto prodotto di qualità, c'è chi approfittandone vuole spacciare per tale anche prodotto sicuramente mediocre se non peggio.

Ribadendo come qualità (in base a cosa poi ?) non sia sinonimo di prezzo alto, perché c'è questa diffusa convinzione che il prodotto estero sia sempre pessimo ?

Durante la campagna di trebbiatura, mi capita, e credo a tutti, di vedere ottimo prodotto, ma anche partite decisamente pessime. Credo nessuna zona d'Italia ne sia esente.

Concludo dicendo:

Ma al posto di accorpaci noi, non sarebbe meglio ridurre la dimensione dei colossi mondiali?

Altrimenti un meccanismo per cui chi vuol competere con il mercato italiano deve avere un ingranaggio compatibile con le dimensioni dell'ingranaggio italiano?

Il discorso sui "colossi mondiali" è analogo a tanti altri settori. Credere/volere ridurre l'egemonia dei colossi petroliferi, farmaceutici, chimici, alimentari ecc, è la volontà di molti. La domanda però te la faccio io: come credi sia possibile ? Prendere atto di una situazione, o conoscerne i motivi è già un'ottimo passo avanti, ma senza dare soluzioni concrete e fattibili nel breve-medio periodo, rimangono a mio avviso: utopie. Ed in quanto tali, la gente dovrebbe riempirsene meno la bocca.

Modificato da Mapomac
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Mi piace molto l'analisi introduttiva di questa discussione, credo, e non mi si accusi per questo di pessimismo cosmico o di prona rassegnazione, che, allo stato attuale, non vi siano alternative alla odierna situazione.

Dico questo, proprio per rispondere all'invito iniziale di provare ad affrontare il problema cercando di avere una visione il più ampia possibile.

Quindi, sebbene idealmente e diciamo pure ideologicamente sarei portato ad auspicare cambiamenti di sistema (economico, politico e culturale) anche aspri, sono però convinto che per sopravvivere, almeno in questa vita, si debba affrontare il mondo che viviamo in modo il più realistico possibile.

La mia teoria è che la produzione di commodity e in special modo quelle alimentari e nella fattispecie i cereali, in italia sopravviva più per forza di inerzia che per una reale funzione di approvigionamento.

Partendo dal presupposto che tutte o quasi le agricolture dei vari paesi del mondo sono in qualche modo legate alle politiche di sostegno messe in atto dai rispettivi governi, e che tutti i produttori agricoli del mondo debbono confrontarsi con un mercato che si esprime su scala globale si potrebbe pensare che siamo tutti nella stessa barca, in realtà a mio giudizio non è così perchè c'è chi sta già annegando (noi per esempio) e chi tutto sommato si trova ancora con i piedi asciutti.

 

Cito un articolo apparso su TERRA E VITA n.26/2008

titolo: Solo due trattori per 1.400 ettari.

Non ci troviamo in Romania o in qualche altra zona dove la tutela del lavoratore è qualcosa di sconosciuto, ma in America, in Illinois, un tale di nome Tracy Jones, gestisce 970 ha più 400 ha in conto terzi, ha un solo dipendente fisso e possiede "solo" un JD 8420 e un JD 8430.

Tralasciando una serie di gustosi particolari descritti nell'articolo riporto alcuni dati sulla produttività. Testualmente [.....] In semina arriviamo a 22 acri l'ora, circa 7 in aratura e tra i 20 e i 30 acri nella preparazione del terreno. Tradotto in sistema metrico, equivalgono a 9 ettari l'ora in semina, circa 2,8 in aratura e tra gli 8 e i 12 ettari in lavorazione leggera.[....]

Parliamo di produzioni orarie.

Parliamo di ripartire i redditi delle lavorazioni (Tracy Jones è anche un allevatore)su una persona che ha un solo dipendente fisso più alcuni stagionali assunti nei periodi della raccolta.

Anche ipotizzando rese inferiori, anche ipotizzando prezzi sempre in discesa, su questa scala il nostro amico americano otterrà comunque una sostenibilità che noi abbiamo dimenticato da un pezzo.

 

MI chiedo e vi chiedo, ha ancora senso coltivare prodotti che sono replicabili (so che su questo molti non saranno d'accordo) in ogni parte del mondo?

O piuttosto concentrarsi su quelle produzioni tipiche ed esclusive del nostro territorio?

 

Scusate la prolissità, ma piove, mi tocca stare in casa e quindi.........:)

 

P.S. Consiglierei la lettura, oltre che del sopracitato articolo ghiotto soprattutto per i johndeeresti :clapclap:

anche del seguente volume copa13.asp?f=9788807171567I padroni del cibo

Patel Raj, 2008, Feltrinelli

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Ospite albe 86

 

Ho concluso, a vol la parola ed i commenti, integrazioni, correzioni, domande, offese e minacce.

 

Io passerei subito alle minacce... :nutkick:

Tutto quello che c'è scritto è sacrosanto, noi non possiamo competere col mercato globale, questo è evidente, però vista l'importanza dell'agricoltura in senso ambientale-occupazionale-economico-culturale-storico, tutti questi discorsi dovrebbero passare in secondo piano, perchè comunque ci DEVE essere agricoltura, magari in modi e forme diverse,ma ci deve essere indipendentemente dalle dinamiche globali.

Senza contare che qualità a mio avviso non è da intendere solo con bontà della produzione, ma anche considerare se un prodotto è stato fatto con prodotti rispettosi dell'ambiente e soprattutto della salute umana, come accade qui da noi.

Modificato da albe 86
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Ottimo articolo mapomac! Davvero complimenti! Hai evidenziato per bene com'è la realtà italiana.

 

Inutile piangersi addosso.... la realtà è questa e c'è poco da fare... anzi con l'allargamento alla ai paesi est-europei la situazione di certo non migliorerà.... pure anche per colture come il girasole.

 

Quindi anche in Italia come avviene in natura ci sarà la selezione naturale che lenta e inesorabile pervaderà il territorio... infatti a questi prezzi l'unica via per andare avanti è quella di ridurre al minimo i costi di produzione pur mantenendo una buona qualità di produzione di grano e questo si può fare con:

 

  • TOTALE abbandono di un attrezzo ormai da museo chiamato: ARATRO
  • Utilizzo di tecniche di agricoltura conservativa come minima lavorazione e sodo grazie alla reintroduzione delle leguminose e altre colture in rotazione eliminando totalmente il ringrano.
  • TOTALE abbandono maggese (quest'ultima pratica inutile quanto vetusta)
  • Rotazioni colturali almeno triennali con l'inserimento di leguminose e brassicacee (soprattutto nelle zone del sud dove colture come il girasole, mais e sorgo non si adattano al clima), queste colture in rotazione al grano permettono di incrementare la sostanza organica, ridurre l'uso di concimi, e non dover ricorrere all'aratura in quanto il grano torna nello stesso appezzamento una volta ogni 3 anni e quindi sono problemi fitosanitari sono moltoridotti (fusarium, ruggine, ecc)
  • uso di fungicidi quando ce ne bisogno e non dire sempre: tanto siamo in collina qui il grano non si ammala mai... peccato poi chi dice così fa sempre 20 q.li/ha....e quei 20 q.li sono sempre di pessima qualità: bianconato, striminzito peso specifico se va bene fa 75 ecc

 

Le semplici modifiche agli attuali ordinamenti colturali presenti in gran parte del areale cerealicolo italiano (soprattutto al centro sud) permetterà di ridurre i costi di produzione, avere una migliore qualità, e riuscire a tirare avanti.

 

E' finita la pacchia della PAC anni 90 quando ci davano 1 milione ad ettaro e poi la gente seminava il grano con lo spandiconcime (così quando facevano le foto dal satellite per i controlli PAC si vedeva il grano) e poi manco lo andavano a raccogliere e si intascavano il milione ad ettaro....

 

E' ora di tornare a fare un agricoltura seria, cercando di ridurre i costi (dato che oggi esiste sia la tecnica che la tecnologia) ma mantenendo ottime qualità di produzione.... invece oggi cosa succede? Il grano costa poco? bene faccio il ringrano con il frangizzolle così risparmio l'aratura, e magari il 18-46 in presemina nemmeno ce lo butto tanto un po' di fosforo nel terreno c'è.... ecco chi in futuro continuerà ad attuare queste tecniche sarà destinato a chiudere grazie alla lenta e progressiva selezione naturale....

 

Tutto questo si scontra con la realtà Italiana fatta da una frammentazione di aziende fuori dal comune, la media dell'estensione delle aziende agricole italiane è ben sotto i 5 ettari, i cugini francesi sono a quasi 10 volte di più... è vero non ci possiamo fare nulla il nostro territorio è tanto bello come impervio ma è anche vero che l'eccessiva frammentazione delle aziende agricole, comporta grossi problemi quando si vuol parlare di grosse partite OMOGENEE di cereali, e in Italia è impossibile arrivare a questo.

 

Perchè io posso impegnarmi al massimo e fare un grano con 84 di ps, 15 di proteine ecc, ma se poi tutti i miei vicini fanno un grano da 75 di ps e 11 di proteine quando si va all'ammasso si sa cosa succede....e addio filiera del grano di qualità ecc ecc

 

Per cui per la cerealicoltura italiana saranno tempi grigi molto grigi, perchè o in un baleno tutti i cerealicoltori italiani si mettono a produrre grano di qualità, cosa impossibile per tutti i problemi sopracitati, oppure continueranno per molti anni ad arrivare le navi di grano canadese da 17-18 % di proteine....con cui i nostri pastai tagliano lo scadente grano italiano

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@Mapomac "Ti ringrazio, i complimenti son sempre graditi. Ora sai di che morte morire..."

Difatti ho pronta l'epigrafe per la lapide "Mentre un PIL straniero lo uccideva, nessuno l'ha difeso".

Ricordiamoci che il prodotto straniero non serve ad abbassare il prezzo al consumatore, ma serve ad arricchire l'industriale.

@ DjRudy .. Le terre si libereranno quando la generazione che le coltiva non sarà in grado di alzarsi dalla sedia, ma sperando che i figli abbiano trovato un lavoro altrove, altrimenti continueranno ad essere coltivati. In questo caso ci rimetterà solo l'industria dei macchinari agricoli, perché i guadagni non permetteranno all'agricoltore di acquistare macchine nuove.

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@Mapomac "Ti ringrazio, i complimenti son sempre graditi. Ora sai di che morte morire..."

Difatti ho pronta l'epigrafe per la lapide "Mentre un PIL straniero lo uccideva, nessuno l'ha difeso".

Ricordiamoci che il prodotto straniero non serve ad abbassare il prezzo al consumatore, ma serve ad arricchire l'industriale.

 

Gli industriali vanno a cercare il grano estero non solo per arricchirsi ma anche perchè con il grano prodotto in molte parti d'Italia la pasta verrebbe buona si al massimo per darla al cane....

 

Ricordo che per avere una pasta discreta ci vuole un grano con almeno il 13 % di proteine.... e invece in molte parti d'Italia lo scorso anno si sono visti grani da 10-11 per di più strimiziti e bianconati (anche il colore conta per fare una pasta di qualità)....

 

Prendi un grano che fa 11 di proteine, portalo al mulino, portati a casa la farina e poi prova a fare la pasta e mi dici cosa viene fuori... Non mi venire a dire che quest'anno in Sicilia, Sardegna, Puglia, Calabria, Lazio e certamente anche la Toscana non c'era grano da 10-11 di proteine....anzi la maggior parte del grano aveva queste caratteristiche....

 

Iniziamo tutti a produrre di più e meglio e vedrete che anche gli industriali ne compreranno meno all'estero...

 

Infatti quest'anno la Barilla propone già ora questo tipo di contratto: 30 % della produzione aziendale prezzo garantito di 22 €, però chiaramente deve fare almeno 80 di peso specifico, 13 di proteine ecc

 

Quindi se uno produce ad esempio 2000 q.li di grano, già oggi ne ha sicuri 700 a 22 euro (prezzo che sale addirittura a 28 euro per le regioni del Sud che coltivano una particolare varietà ad alto contenuto proteico di cui non ricordo il nome), saranno pochi, saranno tanti ma è sempre di più dei 16-17 euro attuali.

 

E' chiaro però che per accettare un contratto del genere occorre poi saperlo fare un grano con quelle caratteristiche: quindi buone concimazioni, trattamenti fungicidi, non sul ringrano ecc.... invece gli agricoltori che fanno? Continuano a fare le porcate, vendono il grano di scarsa qualità a 16 euro e poi si lamentano che arrivano le navi dando sempre la colpa agli industriali o al governo (che per carità avranno anche loro responsabilità) ma di certo l'agricoltore che fa un grano del tubo non è esente da critiche/colpe per l'attuale situazione della cerealicoltura italiana.

 

Infatti l'Italia non è fatta solo di produttori di qualità scarsa... prendiamo ad esempio le Marche, territorio quasi tutto collinare, terreni certamente di buona fertilità, ma la produzione media di grano nelle Marche è circa 40-45 q.li/ha, il doppio della media della Toscana (che ha condizioni pedoclimatiche simili se non addirittura più favorevoli) e di molte altre regioni del centro sud, per di più nelle Marche la qualità media del grano è ottima per cui i contratti con la Barilla loro li fanno già da anni, così come avviene anche nel Ravennate altra area dove gli agricoltori sanno fare gli agricoltori e da tempo hanno smesso di fare l'agricoltura da rapina drogata dalla stramaledetta PAC anni 90.

 

Esitono poi realtà anche in Sicilia come dal Conte dove con il pane Dittaino o come cavolo si chiama un gruppo di agricoltori produce grano di ottima qualità, che permette di esportare il pane persino in Germania e in questo modo spuntare un prezzo del grano maggiore rispetto a quello di mercato.

 

@@ DjRudy .. Le terre si libereranno quando la generazione che le coltiva non sarà in grado di alzarsi dalla sedia, ma sperando che i figli abbiano trovato un lavoro altrove, altrimenti continueranno ad essere coltivati. In questo caso ci rimetterà solo l'industria dei macchinari agricoli, perché i guadagni non permetteranno all'agricoltore di acquistare macchine nuove.

 

Bene allora questa generazione che coltiva è bene che non si lamenti più di tanto e che coltivi come si deve e non alla caz de can....come in molte parti d'Italia si persevera a fare...

Modificato da DjRudy
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Sarebbe interessante fare un conteggio il più completo e realistico possibile delle spese complessive per produrre un ettaro di grano duro, qualche tempo fa su una rivista di settore si parlava di circa 1.000 euro per ettaro, che a 22 euro per quintale fanno fanno circa 45 quintali che se ne vanno per produrre.

Pur ammirando i tentativi di continuo miglioramento produttivo, continuo a non poter fare a meno di pensare che i nostri problemi di sopravvivenza sono simili a quelli di agricoltori che vivono e lavorano in situazioni molto diverse dalle nostre (in meglio) se noi puntiamo alle tecniche conservative lo faranno anche gli americani, i canadesi, in sudafrica, ecc. Cosa otterremo? grano di ottima qualità ma sempre più costoso di quello estero . Sbaglio?

Forse ho una visione errata della situazione, ma ripeto cerchiamo di fare dei conti analitici dei costi di produzione, magari differenziandoli in 2 o 3 tipologie caratteristiche della nostra realtà agricola (pianura, collina, area geografica,.....).

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La qualità non viene riconosciuta. Qui il problema è questo.

Se io ho del grano buono e me lo tengo in magazzino per venderlo direttamente al mulinaro o alla buonanima del pastificio, me lo pagavano secondo tariffa del commerciante, e ci rimetto le spese di magazzino e il percorso più lungo per la consegna.

Se nel centro-nord fanno i contratti, da queste parti se ne fregano di tenere in vita il pollo, azzannano senza riflettere, e quando il mulinaro non ha frumento, va a caricare al porto quello che trova, ovviamente frumento migliore del nostro, può capitare qualche partita un po radioattiva, ma gli italiani qualcosa di peggio l'avranno digerita.

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vista l'importanza dell'agricoltura in senso ambientale-occupazionale-economico-culturale-storico, tutti questi discorsi dovrebbero passare in secondo piano, perchè comunque ci DEVE essere agricoltura, magari in modi e forme diverse,ma ci deve essere indipendentemente dalle dinamiche globali.

Senza contare che qualità a mio avviso non è da intendere solo con bontà della produzione, ma anche considerare se un prodotto è stato fatto con prodotti rispettosi dell'ambiente e soprattutto della salute umana, come accade qui da noi.

Sul primo punto mi trovi concorde. Specie in Italia, a mio avviso, molte sono quelle zone che dovranno "modificare" la loro destinazione non più in produttiva, ma in salvaguardia ambientale. L'abbandono di colline e terreni marginali a causa di scarsa redditività, non deve esistere e non è sostenibile. Salvo per gli abitanti di città, ritrovarsi le colline che gli cadono in testa.

Mi ripeto: dati alla mano, volete indicarmi fatti concreti dove si provi la scarsa qualità, intesa pure in senso ambientale, dei prodotti esteri ?

E' il caso a mio avviso di ridimensionare un'attimo il proprio orgoglio. Il patriottismo va bene, ma mica è l'Italia che sfama il mondo intero. Non mi pare vi sia una moria diffusa in quei contesti dove non si mangi italiano.

 

@ DjRudy .. Le terre si libereranno quando la generazione che le coltiva non sarà in grado di alzarsi dalla sedia, ma sperando che i figli abbiano trovato un lavoro altrove, altrimenti continueranno ad essere coltivati. In questo caso ci rimetterà solo l'industria dei macchinari agricoli, perché i guadagni non permetteranno all'agricoltore di acquistare macchine nuove.

Vedi punto sopra per quanto riguarda l'industria della macchina agricole. Il mondo è grande.

La generazione preponderante la quale coltiva ora, è già da un pezzo che avrebbe dovuto lasciare il posto. I figli fanno bene a trovare un'altro lavoro, se devono scontrarsi con una realtà casalinga arretrata e stantia.

 

se noi puntiamo alle tecniche conservative lo faranno anche gli americani, i canadesi, in sudafrica, ecc. Cosa otterremo? grano di ottima qualità ma sempre più costoso di quello estero . Sbaglio?

Ti correggo: lo fanno già.

In merito al discorso dei prezzi, la tua è un'ottima idea. Vediamo di svilupparla entro breve.

La qualità non viene riconosciuta. Qui il problema è questo.

Se io ho del grano buono e me lo tengo in magazzino per venderlo direttamente al mulinaro o alla buonanima del pastificio, me lo pagavano secondo tariffa del commerciante, e ci rimetto le spese di magazzino e il percorso più lungo per la consegna.

Se nel centro-nord fanno i contratti, da queste parti se ne fregano di tenere in vita il pollo, azzannano senza riflettere, e quando il mulinaro non ha frumento, va a caricare al porto quello che trova, ovviamente frumento migliore del nostro, può capitare qualche partita un po radioattiva, ma gli italiani qualcosa di peggio l'avranno digerita.

Non voglio, credimi, sembrare indisponente ma:

 

- La qualità non viene riconosciuta non è un problema. Il problema è produrre qualcosa che il mercato non vuole/apprezza/valorizza e lamentarsene.

- Sei obligato a tenerlo in magazzino ? Perché non te ne fai uno ? Lamentarsi di una situazione e continuare con gli stessi comportamenti, di certo non può migliorare le cose.

- Da voi non fanno contratti ? La colpa di chi è ? Del mercato dei cerali Usa ?

 

________________________

 

Detto questo, senza riferimenti personali alcuni, invito tutti a partecipare, ma mantenendo un livello "elevato" della discussione. Non fraintendetemi, ma per le solite lamentele (legittime e non) ci sono altre numerose discussioni.

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Dj Rudy, ha parlato di brassicacee nella rotazione delle colture, praticamente, quale sarebbe la brassicacea da piantare per poterla poi raccogliere senza dover perdere poi il raccolto dovendo pagare i vari terzisti?

Mio nonno piantava le rape e poi le raccogliva a mano, (vari figli e manodopera a basso costol), oggi non credo che sia praticabile dato il superiore costo della manodopera, quindi chi pur non avendo grossi numeri, si vorrebbe comunuqe tenere in piedi, quale rotazione dovrebbe praticare?

Personalmente, come spiegato in altra sede, avendo bestiame, dopo 4-6 anni di medica, faccio un paio di anni di avena che comunque uso a fieno e poi riparto con la medica.

Qualche anno fà, facevo un anno di avena un anno di orzo/grano e 4-6 di medica. Oggi l'orzo per uso zootecnico conviene comprarlo, se ne acquista in qualità del prodotto che si và a dare agli animali.

Non sò se riesco a spegarmi, ma se non avessi le vacche a cui dare il foraggio, che rotazione potrei attuare nei miei 15 ha che comunque anche se sono 1/3 degli ha dei francesi, fanno parte di un'azienda che unitamente ai prodotti forestali ed alla castanicoltura conta un'estensione di 40 ha e produce un sufficente reddito annuo?

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io saro pure d'accordo che dovranno scomparire una parte di agricoltori altrimenti c'e sovraffollamento...rispondendoti, mi spiego, in italia chi fa l'agricoltore non è che fa l'agricoltore 40anni poi se ne va in pensione come l'operaio, nossignore, dopo 40anni prende la sua pensione e comincia a fare un anno grano e un anno mais...sempre sempre sempre cosi (parlo per le mie zone eh) perchè il figlio lavora chissa dove...quindi che abbia 20 ettari o ne abbia 2, frega niente di produrre qualcosa per il verso tanto alla fine del mese i soldi gli arrivano comunque...la terra comincia a diventare il passatempo e quelli che prende son tutti guadagnati.

capite il problema? questa è terra che diventa superflua in questo momento, praticamente è fuori dal mercato, perche chi la coltiva che ci guadagni o no non gli cambia nulla...

 

Voglio riportare qui un mio messaggio scritto in altra sede, per far capire al Dj e a Mapomac che mi trovo pienamente d'accordo con il loro punto di vista sulla situazione... ' ricambio generazionale'... quella che ho riportato non deve essere vista come una lamentela, tutt'altro, ma è una semplice constatazione di come vanno le cose anche qui nel Ravennate.

ps: per dire, mese scorso ero alla festa del consorzio agrario, la media di età scommetto che superava l'eta pensionabile...jd fan puo confermare

questo è per dire che se si riuscisse a creare un settore primario formato da menti giovani, sarebbe piu facile raggiungere gli obiettivi estremamente ambiziosi (tutt'ora oserei dire utopistici) necessari per migliorare non solo il settore cerealicolo ma l'agricoltura tutta

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A parte gli scontri che fanno sempre piacere leggere, da noi le persone che non ci vedono bene la terra la "lasciano" a chi ne ha tanta ed ha voglia di produrre.

Tra l altro sono consapevole che in Sicilia specie nei 30 40 km della mia zona dove ci son migliaia di ettari si protrebbe alzar la media , ma a nessuno gli importa e si lamentano......io non so oggi perchè si lamentano, quando sono loro stessi a farsi del male.

 

Cosa costa un ettaro ?

Dopo grano, coltivatore a settembre, seminatrice a novembre, un pò di nitrato a febbraio , diserbo ma forse neanche per la foglia stretta , trebbiatura........... costo? con 1000 euro ne fanno 4 ettari.

 

Io cercando di capire , di imparare da chi ne sa piu di me, ho cercato di adeguarmi al mercato ed alla domanda di esso. Oggi non ci sono i bravi e i meno bravi, ma purtroppo chi non si adegua, salterà.

Hp90 da voi magari funzionerà diversamente, ma siamo sicuri che con delle lavorazioni piu accurate non si potrebbe far grano qualitativamente migliore e magari il mulinaro lo compra a due passi da casa?

 

Da noi la qualità conta eccome, ma il nostro pane, viene suddiviso in tutta italia ed anche in europa ed è fatto col mio grano duro e questa realtà dura da piu di 30 anni.

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Ospite albe 86
Sul primo punto mi trovi concorde. Specie in Italia, a mio avviso, molte sono quelle zone che dovranno "modificare" la loro destinazione non più in produttiva, ma in salvaguardia ambientale. L'abbandono di colline e terreni marginali a causa di scarsa redditività, non deve esistere e non è sostenibile. Salvo per gli abitanti di città, ritrovarsi le colline che gli cadono in testa.

Mi ripeto: dati alla mano, volete indicarmi fatti concreti dove si provi la scarsa qualità, intesa pure in senso ambientale, dei prodotti esteri ?

E' il caso a mio avviso di ridimensionare un'attimo il proprio orgoglio. Il patriottismo va bene, ma mica è l'Italia che sfama il mondo intero. Non mi pare vi sia una moria diffusa in quei contesti dove non si mangi italiano.

 

Per quanto riguarda il primo punto comunque per poter mantenere agricoltura in una certa zona occorre redditività, gli agricoltori non sono enti di beneficienza, quindi se non si può fare l'agricoltore per produrre derrate mi può star bene anche fare il "dipendente statale" per la gestione del territorio, almeno in realtà marginali.

Per quanto riguarda il secondo punto non metto in discussione tutte le altre produzioni mondiali, però io mi occupo di riso e mi viene ad esempio in mente che in molte zone utilizzando ancora il DDT, utilizzano diserbanti e fungicidi da noi vietati da tempo perchè dannosi (ma a basso costo) e poi mi riferisco ancora all'essiccazione e stoccaggio dei prodotti, noi siamo super controllati, adesso vogliono farci storie per i fumi dell'essiccatoio che lavora un mese all'anno, e poi dall'estero, soprattutto dal sud est asiatico, può arrivare di tutto senza problemi. Gente che ha visto arrivare in Italia navi di riso ne è rimasta nauseata, forse è anche dir poco. Quindi ci saranno esempi di produzioni estere qualitativamente molto buone, ma anche molto scarse! E poi comunque non si può pensare di farci concorrere in un mercato globalizzato senza poter disporre degli stessi strumenti, mi vengono in mente gli ogm ed il fatto che all'estero ci sono minori restrizioni fitosanitarie e quindi è possibile spendere molto meno per ottenere gli stessi risultati.

 

@ il conte: a mio avviso i costi fissi (sementi, concimi, diserbi, fungicidi, affitti, ecc) sono ben più alti dei 250 €/ha che lasci intendere nel tuo post come spese, figuariamoci il costo totale.... A mio avviso un ettaro di grano in costi fissi è circa 400 euro, poi c'è da aggiungere la trebbiatura, la manodopera, il gasolio, gli ammortamenti...

Modificato da albe 86
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Le mie posizioni, con una tendenza ad una autocritica forse ai limiti dell'esasperazione possono farmi passare per un esterofilo, o come si diceva in tempi passati (bui e tempestosi) per un disfattista, ma io cercherei di mettere da parte ogni tentativo di difesa, ed esaltazione della qualità e genuinità delle patrie produzioni (anche perchè di porcheriole ne sono state combinate) e continuerei a concentrarmi su una pura analisi del mercato, dei centri di costo, delle peculiarità del nostro territorio agricolo, del ruolo insomma che possiamo avere nel fabbisogno alimentare globale, poi se ne viene fuori che nonostante gli ammirevoli sforzi i nostri cereali (duro e tenero) sono fuori mercato, non capisco perchè non sforzarci di cercare alternative non replicabili altrove.

D'altronde se da noi i case quadtrak li utilizzano per sistemare le spiagge e fanno pure notizia sui giornali un motivo ci sarà...... o no??:)

 

Tra parentesi io lavoro da solo in una azienda costituita da 4 poderi accorpati, su cui una volta vivevano circa una trentina di persone o forse più, e dovevano anche fare a metà con il padrone, che per inciso non ero io, eppure devo spaccare il capello in 4 per far quadrare i conti......

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Sotto l'aspetto puramente economico il tuo discorso regge ma hai visto cosa è successo lo scorso anno con il tracollo di importanti banche!(le stesse persone che osannavano l'economia prettamente finanziaria si sono dovuti ricredere per affermare poi l'importanza di quella manifatturiera).

Detto questo è giusto che il mercato sia libero ma occorrono regole condivise cosa che manca.

Io parlo sia del costo del lavoro (in molti paesi si in regime di semischiavitù), normative sanitarie e di tutto ciò che concerne aspetti burocratici.

Dobbiamo sempre ricordarci che parliamo di beni di prima necessità che non devono essere assoggetati a regole equivalenti a quelle di tutti gli altri prodotti.

Ricordiamoci che è grazie anche le politiche economiche nate negli anni '50-'60 se il progresso economico e cresciuto e si è stabilizzato.

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Prima di additare al basso corto del lavoro, o addirittura a schiavitù, il motivo dei minor costi di produzione estere, valuterei bene da chi importa l'Italia.

I dati qua sotto non sono aggiornati, è il primo grafico utile che avevo disponibile. Credo rendano comunque l'idea.

 

20091225-n3kfck5k3ynnjm9k9h15g9pme5.jpg

20091225-f1kmyrdxwy7jr1769txsbq813i.jpg

Modificato da Mapomac
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  • 3 settimane dopo...

 

 

Esempio: nel caso un’investitore creda che una determinata commodity cresca di prezzo comprerà il relativo future, mentre in caso contrario venderà quelli già in suo possesso. Questo, semplificando estremamente, è quello che in gergo si definisce essere in posizione long o short.

 

 

Volevo solo precisare che nel mercato dei futures , una posizione short si ottiene vendendo uno o piu' contratti o vendendo piu' contratti di quelli gia' in possesso.

Se invece si vendono i contratti in possesso questo equivale a chiudere la posizione e non ad andare short o " corti ".

E' solo una piccola precisazione ,scusa se mi sono permeso di fare , ma che nulla toglie alla tua analisi

PS. non mi risulta che il prezzo della soia abbia avuto un andamento di quel tipo(vedi il sito CME Group - Home) CIAO:leggi::asd::asd:

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Volevo solo precisare che nel mercato dei futures , una posizione short si ottiene vendendo uno o piu' contratti o vendendo piu' contratti di quelli gia' in possesso.

Se invece si vendono i contratti in possesso questo equivale a chiudere la posizione e non ad andare short o " corti ".

E' solo una piccola precisazione ,scusa se mi sono permeso di fare , ma che nulla toglie alla tua analisi

PS. non mi risulta che il prezzo della soia abbia avuto un andamento di quel tipo(vedi il sito CME Group - Home) CIAO:leggi::asd::asd:

 

Hai fatto benissimo a precisare. Ti ringrazio. Effettivamente il grafico che avevo messo era sballato sul finale.

Grazie inoltre per la doverosa e necessaria precisazione sulle posizioni short.

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  • 4 mesi dopo...
Inviato (modificato)

Come immagino saprete, è questo il periodo delle visite in campo per le prove varietali del frumento. Oltre alla solita pubblicità, tra una "nuova" varietà ed un'altra, forse i momenti più interessanti sono quando qualcuno disserta, competentemente o meno, sul mercato dei cereali. Ancor più gratificante è trovare persone, obiettivamente preparate, confermare quanto personalmente vado dicendo da tempo.

Terminata questa indegna auto celebrazione, vado ad esporvi un punto molto curioso emerso durante la discussione.

 

Pare infatti che recentemente, in via del tutto eccezionale, è infatti la prima volta, il prezzo del prodotto italiano, sia inferiore di quello straniero.

Dato che verba volant, scripta manent, sono andato per quanto possibile a verificare. Dati ISMEA e non solo lo confermano.

Ora, vorrei fosse chiaro come sia una importante anomalia; d'altronde s'è sempre detto come il prodotto estero a così poco prezzo, "rovini" il nostro mercato.

 

Io ho una mia interpretazione del fenomeno, ma per non influenzarvi, vorrei prima sentire le vostre opinioni.

 

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Modificato da Mapomac
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ai mulini serve oltre che la qualità, la stabilità del prodotto da lavorare, sia come uniformità di caratteristiche che come costanza di approvigionamento.

noi diamo partite discontinue e troppo variabili, mentre qiauando arriva la nave al porto ha decine di migliaia di quintali perfettamente uniformi.

buono o cattivo che sia poi viene abilmente tagliato per poi lavorarlo.

di sicuro da quando il contadino si è messo a fare il commerciante-speculatore è andato sempre peggio

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La causa della scarsa valorizzazione del nostro frumento (duro o tenero che sia) rispetto a quello estero (anche se occorre fare dei distinguo tra i vari frumenti d'importazione) credo sia da ricercare tra molteplici fattori, ma reputo la scarsa/inesistente capacità da parte dei produttori italiani di far fronte al mercato globale ed alle sue spietate leggi a attraverso l'unica forma di difesa corporativa: L'ASSOCIAZIONISMO, unica forma di tutela nei confronti di dinamiche economiche che portano ad una sempre maggiore concentrazione della domanda. La cerealicoltura, come il resto del variegato mondo delle produzioni agricole italiano, si è fatto trovare totalmente impreparato a questo cambiamento, vittima dei suoi stessi, inefficenti strumenti di difesa, che anzichè farsi interpreti del loro ruolo costituzionale ed istituzionale hanno, per decenni, operato in funzione della tutela della propria identità distintiva, in barba alle nuove e mortali minacce di mercato nei confronti delle imprese... non fosse così probabilmente gli agricoltori stessi sarebbero tutelati nel loro reddito attraverso univoche scelte di mercato che, tanto per fare alcuni esempi, avrebbero potuto creare una linea di produzione omogenea, controllata e garantita di poche, selezionate varietà di frumento in funzione della richiesta delle inustrie agroalimentari, magari stimolando e finanziando la ricerca varietale per andare incontro alle loro stesse esigenze. A tutt'oggi invece assistiamo ad uno scoordinamento assoluto e vergognoso tra i centri di stoccaggio tra una provincia e l'altra, se non addirittura, nell'ambito della stessa provincia tra 2 o più centri di aggregazione....questa dispersione impedirà qualsiasi vantaggio corporativo e qualsiasi innovazione nell'ambito dello sviluppo tecnico e varietale...in questo panorama non vi è assolutamente nulla di cui stupirsi osservando il grafico prodotto dall'ottimo Mapomac... e siamo solo all'inizio...

 

P.S. ho assistito a numerose visite ai campi varietali del genere cui il caro Massimo si riferisce, ultimamente però non ho più alcun interesse e voglia di parteciparvi, in quanto altro non sono che inutili e dispersive forma di propaganda rurale di questo o di quel consorzio di stoccaggio. Far assistere a dei comuni agricoltori (magari anche competenti ed illuminati) all'esposizione commentata e documentata di decine e decine di varietà di frumento senza disporre delle necessarie competenze per esprimere dei verdetti che alla fine della fiera, solo chi compra il prodotto può emettere, può solo fomentare ed aumentare il clima di confusione e disinformazione, cose di cui il mondo della produzione agricola dispone a profusione....

Modificato da Andrea terratech
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..................

Io ho una mia interpretazione del fenomeno, ma per non influenzarvi, vorrei prima sentire le vostre opinioni.

Magari c'è sotto un giochetto di fatture che nell'ambito nazionale gli viene difficile da realizzare :boh:

Oppure è il gioco delle tre carte, un complice punta e vince, gli altri perdono tutti.

Come dire, vi facciamo un favore a levarvelo di casa, perchè quello straniero ci piace assai :gluglu:

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